

LE TECNICHE DI PRODUZIONE
di Riccardo Gucci, Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose, Università di Pisa
L’olivicoltura italiana, presente in 72 province su oltre 1 milione di ha, è praticata in condizioni ambientali e colturali molto diverse. Ai fini della gestione dell’oliveto gli aspetti economici e sociali hanno un ruolo altrettanto importante di quelli agronomici, in quanto l’olivo svolge spesso, oltre alle ovvie funzioni produttive, importanti compiti di conservazione del territorio e del paesaggio mediterraneo (suolo, sistemazioni collinari, biodiversità). La conduzione a tempo parziale dell’olivicoltura è diffusa e rappresenta la forma principale in aree marginali, talvolta così estese da interessare intere regioni come nel caso della Liguria. La superficie aziendale media coltivata ad olivo è inferiore ad 1 ha per cui i costi di produzione sono alti e gli eventuali investimenti difficilmente ammortizzabili.
La qualità dell’olio extra-vergine di oliva nasce in campo a partire da olive sane, integre, ad un giusto grado di maturazione. Le successive fasi di conservazione delle olive, di trasformazione in olio e di stoccaggio dell’olio possono al massimo conservare il potenziale qualitativo iniziale, ma non consentono di ripristinare caratteristiche compromesse da una scadente qualità della materia prima.
Suolo e clima. La coltivazione dell’olivo è indissolubilmente legata al clima mediterraneo, caratterizzato da inverni miti, estati calde e secche, precipitazioni concentrate nel periodo autunno-primaverile. In climi relativamente freddi le basse temperature autunnali rallentano il processo di maturazione delle olive dando origine ad oli molto apprezzati dai consumatori per l’alto contenuto in acido oleico e costituenti minori. Per quanto riguarda il terreno, l’olivo non ha particolari esigenze di pH, tessitura o fertilità; si adatta bene anche a terreni calcarei e poco fertili, purché drenati, privi di ristagni di umidità e non eccessivamente compatti.
Varietà. La ricchezza di varietà italiane di olivo è straordinaria. Un’indagine commissionata dalla FAO e pubblicata nel 1998 riporta 538 varietà autoctone italiane su un totale di 1275 nel mondo. Escludendo le varietà rare, si stima che le italiane con una certa diffusione siano “solo” 148. Per rendere l’idea della ricchezza genetica italiana, la Spagna, il primo paese produttore di olio al mondo, conta in totale 183 varietà autoctone, seguita dalla Grecia con 52. Le varietà italiane sono state accuratamente censite e descritte in cataloghi e libri pubblicati dalle varie regioni olivicole italiane negli ultimi 15 anni.
La varietà influisce sensibilmente sull’accrescimento e sul portamento dell’albero, sulla resistenza a malattie, parassiti e fattori ambientali, sull’entrata in produzione, sulla produttività, sulle caratteristiche dell’oliva e dell’olio, sull’epoca e scalarità di maturazione dei frutti, sul processo di accumulo dell’olio. La varietà non è modificabile, se non a costi proibitivi, in oliveti esistenti. Nei nuovi impianti la scelta deve tener conto dell’auto-incompatibilità riproduttiva di molte varietà e degli obiettivi qualitativi che si vogliono perseguire. Sebbene sia possibile produrre oli extra-vergini di oliva di alta qualità con qualsiasi varietà di olivo, le differenze varietali nel contenuto in componenti minori dell’olio e nel profilo organolettico possono essere enormi. La varietà influisce soprattutto sulla composizione in acidi grassi, sul rapporto tra acidi grassi insaturi e saturi, sul contenuto in composti fenolici e sui composti volatili ad impatto sensoriale che si sviluppano durante la trasformazione delle olive in olio a partire dalla via della lipossigenasi.
Difesa da parassiti e malattie. La difesa dell’oliveto non richiede un numero elevato di interventi e, soprattutto nei climi freschi, si possono produrre olive sane con al massimo due trattamenti antiparassitari all’anno. L’insetto chiave in tutte le regioni italiane è la mosca delle olive (Bactrocera oleae Gmelin), le cui larve scavano gallerie nel frutto alimentandosi della polpa. I danni sono di sottrazione di prodotto, scadimenti qualitativi per contaminazioni microbiche ed ossidazioni, e cascola precoce dei frutti nei casi più gravi.
Parassiti minori, ma che possono risultare molto nocivi in particolari condizioni, sono la cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae Olivier), la tignola (Prays oleae Bernard), la tignoletta (Palpita unionalis Hubner), il rodilegno giallo (Zeuzera pyrina L.) e l’oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis Gyllenhal). Altre specie di insetti possono occasionalmente produrre danni gravi agli oliveti, ma di solito vengono controllati naturalmente dalle condizioni ambientali e dall’entomofauna utile.
Tra le malattie fungine le più frequenti sono l’occhio di pavone (Spilocea oleagina), la piombatura (Mycocentrospora cladosporioides) e la verticilliosi (Verticillium dahliae), che colpisce soprattutto gli oliveti irrigui e i nuovi impianti. La batteriosi più diffusa è la rogna (Pseudomonas savastanoi).
Densità di piantagione. La densità di impianto varia molto a seconda delle condizioni di suolo e clima. Nel passato l’olivo era spesso consociato ad altre colture con densità di impianto molto basse, ma anche nel caso di oliveti specializzati raramente superava i 200 alberi ad ettaro. Moderni oliveti intensivi hanno di solito una densità compresa tra 300 e 600 alberi ad ettaro. L’aumento del numero di alberi per unità di superficie in olivicoltura porta vantaggi produttivi soprattutto nei primi anni dall’entrata in produzione, ma i costi iniziali di impianto e gestione sono maggiori. Di recente si stanno diffondendo, soprattutto all’estero, oliveti ad altissima densità di oltre 1000 piante/ha per la raccolta in continuo con macchine scavallatrici del filare. La verifica della durata produttiva di questi oliveti oltre i 10 anni di età e l’adattabilità delle varietà italiane richiedono ulteriore sperimentazione.
Potatura.La potatura è una pratica costosa, ma indispensabile, che deve essere eseguita tenendo conto delle prerogative biologiche dell’olivo, tra cui il portamento naturale della specie e della varietà, l’elevata attività vegetativa, le tipologie di gemme e rami, il modo di fruttificare prevalentemente sulle infiorescenze ascellari dei rami misti, l’alternanza di produzione. Inoltre, per potare correttamente bisogna considerare l’età, la produttività, lo sviluppo vegetativo, lo stato fito-sanitario ed eventuali sintomi di squilibrio o deperimento dell’albero (e.g. eccessiva emissione di rami succhioni). La potatura non influisce sulle caratteristiche analitiche, organolettiche e salutistiche dell’olio, purché sia eseguita in modo da consentire una buona illuminazione della superficie a frutto e un agevole accesso alla chioma per la difesa da parassiti e malattie.
La potatura è la seconda voce di costo dopo la raccolta per cui risparmi nella potatura si traducono in diminuzioni nel costo di produzione dell’olio. Oggi si sta diffondendo il concetto di “potatura minima”, ovvero la riduzione e semplificazione delle operazioni di potatura senza però indurre effetti negativi sulla produzione, qualità del prodotto e sostenibilità dell’oliveto. L’ausilio di attrezzi agevolatori pneumatici o elettrici per la potatura costituisce un ulteriore elemento di razionalizzazione ed economicità.
Dal punto di vista tecnico la potatura viene eseguita mediante tagli di eliminazione o di ritorno nel periodo compreso tra la fine dell’inverno e la primavera fino al completo allungamento delle infiorescenze. L’intensità di potatura aumenta con l’età dell’albero, per cui è più leggera in fase di allevamento e più severa in oliveti vecchi o deperiti. Potature severe durante la fase di allevamento sono errate in quanto riducono il potenziale di crescita dell’albero, stimolano l’emissione di rami a legno vigorosi e allungano il periodo improduttivo. La potatura secondo criteri tradizionali di alberi adulti prevede l’eliminazione di un certo numero di rami a frutto per ridurre la competizione tra loro e avvicinare la fruttificazione al centro della chioma. Per risparmiare tempo è utile eseguire pochi tagli di ritorno su alcune branche ogni anno in modo da rinnovare completamente la superficie fruttificante della chioma nell’arco di 3-4 anni. La potatura di alberi vecchi, di scarso vigore, deperiti per abbandono o traumi deve essere severa per stimolare l’accrescimento vegetativo e il rinnovo dei rami a frutto. Negli interventi di ricostituzione, così come nella potatura di produzione, viene effettuata l’asportazione dei polloni almeno una volta all’anno.
Forma di allevamento. La forma di allevamento è il risultato del portamento dell’olivo e delle operazioni di potatura che si sono succedute negli anni. La scelta della forma di allevamento viene fatta prima dell’impianto dell’oliveto e deve essere basata principalmente sul tipo di raccolta che si vorrà attuare. Per la raccolta meccanica con vibro-scuotitori è necessario formare un tronco unico privo di ramificazioni laterali per almeno 1 m dal suolo (1.3 m se si vogliono impiegare scuotitori con telaio intercettatore). Per la raccolta manuale o con attrezzi agevolatori portati dall’operatore non è necessario impalcare le piante su un unico fusto.
La forma di allevamento più diffusa nell’olivicoltura italiana è quella a vaso, che presenta numerose varianti. Alberi allevati a vaso hanno di solito un fusto unico di altezza variabile (se assente o breve la forma è detta a vaso cespugliato) da cui si dipartono da tre a sei branche diversamente orientate nello spazio per intercettare la massima quantità di radiazione luminosa. La parte centrale della chioma viene potata in modo da lasciare un varco ampio per la penetrazione della luce. L’interpretazione moderna della forma a vaso prevede una tecnica di potatura che selezioni le branche primarie e le ramificazioni secondarie tra quelle sviluppatesi naturalmente e che intervenga con pochi tagli. Nel caso che si effettui la raccolta meccanica è importante che le branche primarie non eccedano una certa lunghezza e che venga contenuta la vegetazione pendula.
Altre forme di allevamento sono il monocaule e il cespuglio. Nel monocaule l’asse principale dell’albero viene mantenuto con alcuni tagli di diradamento durante la fase di allevamento. Le branche primarie sono selezionate tra quelle formatesi spontaneamente, tenendo conto della uniformità di distribuzione sul fusto, dell’intercettazione di luce e dell’angolo di inserzione, e vengono periodicamente potate con tagli di ritorno o eliminate per il rinnovo della superficie fruttificante. Il cespuglio è una forma che richiede pochissima potatura durante la fase di allevamento, ma non è adatta per la raccolta meccanica con scuotitori per le ramificazioni laterali inserite nella parte prossimale del fusto.
Indipendentemente dalla forma di allevamento, ai fini della riduzione dei costi di potatura e del rischi derivanti dall’uso di scale nell’oliveto, è importante che l’altezza della chioma non superi i 5 m in modo da consentire l’esecuzione delle operazioni di potatura, difesa e raccolta da terra, avvalendosi anche di attrezzi agevolatori portati su aste.
Gestione del suolo. Influisce sulle proprietà fisiche e sugli equilibri chimici e microbiologici del suolo, mentre non sono noti effetti diretti sulla qualità dell’olio. Comprende le lavorazioni del terreno, il controllo delle infestanti o dell’eventuale prato, e la distribuzione dei fertilizzanti. Una corretta gestione consente di migliorare la regimazione idrica, favorendo l’infiltrazione e riducendo lo scorrimento superficiale delle acque, aspetto molto importante considerato che il 73% degli oliveti italiani si trova in collina o in montagna.
La tecnica più diffusa è la lavorazione periodica che riduce la competizione delle infestanti, ripristina la porosità superficiale del suolo, consente l’infiltrazione in profondità della pioggia e l’interramento dei concimi. Le lavorazioni vengono fatte con attrezzi superficiali in modo da limitare i danni all’ apparato radicale dell’olivo. Un metodo efficace ed economico per il controllo delle infestanti è il diserbo con prodotti chimici, che però risulta deleterio per la fertilità del suolo. Oggi si preferiscono metodi conservativi di gestione del suolo meno aggressivi per l’ambiente, in modo da ridurre l’erosione, preservare la struttura e limitare il compattamento del suolo.
L’inerbimento permanente totale o parziale dell’oliveto è consigliato in aree con una certa piovosità e in oliveti dotati di impianto irriguo. La presenza del prato, infatti, esercita competizione per l’acqua e gli elementi nutritivi nei confronti degli apparati radicali dell’olivo. I vantaggi dell’inerbimento consistono nell’aumentare la portanza del suolo al transito delle macchine, ridurre l’azione battente della pioggia, l’erosione e lo scorrimento superficiale dell’acqua, e apportare sostanza organica nel suolo mediante la rizodeposizione e gli essudati radicali del prato. L’inerbimento viene di solito praticato sull’interfila con 2-3 tagli all’anno nell’interfila, mentre il filare viene diserbato chimicamente o lavorato per la rimozione delle infestanti.
Concimazione. L’olivo è considerato una specie frugale per gli elementi nutritivi, ma in realtà ha elevate esigenze in azoto, potassio, fosforo e boro e si adatta bene ai terreni calcarei. Ad esempio, il potassio è accumulato in elevate quantità nei frutti e può divenire limitante in suoli sabbiosi o con una limitata capacità di scambio cationico.
Le concimazioni servono a reintegrare gli elementi minerali perduti con le asportazioni (frutti raccolti, legno di potatura, foglie cadute) o utilizzati per sostenere la crescita dei vari organi. Per predisporre il piano di concimazione dell’oliveto ed accertare eventuali deficienze o eccessi di alcuni elementi ci si avvale di una serie di informazioni ricavate dal calcolo delle asportazioni, dall’analisi del terreno e dalla diagnostica fogliare.
I fabbisogni nutritivi variano con l’età e la fase fenologica dell’albero. In fase di allevamento, la concimazione riguarda prevalentemente l’azoto, distribuito frazionato durante la stagione di crescita e localizzato sulla fila. La concimazione di produzione include 2-3 interventi con azoto a partire dal germogliamento in modo da assicurarne un’ampia disponibilità per lo sviluppo del ramo e per la fioritura ed almeno due applicazioni con concimi contenenti fosforo e potassio. I microelementi vengono forniti qualora si manifestino sintomi di carenze.
I concimi possono essere dati al suolo, alla chioma, con l’acqua di irrigazione (fertirrigazione) Il metodo più diffuso è la concimazione al suolo. La fertirrigazione è ancora poco praticata in olivicoltura nonostante i vantaggi, tra cui la possibilità di somministrare gli elementi in forma solubile ad un elevato grado di umidità del terreno, di usare basse dosi di concime, e di intervenire tempestivamente. Le concimazioni fogliari possono essere utilizzate da sole o ad integrazione di quelle al terreno. Le concimazioni fogliari forniscono nutrienti in modo rapido, impiegano basse quantità di concime, possono essere abbinate a trattamenti antiparassitari, e sono molto adatte per oliveti in asciutto nei periodi in cui le concimazioni al suolo risulterebbero inutili per la scarsa umidità nel terreno.
Infine, va sottolineato il ruolo della sostanza organica nel suolo, che migliora la struttura del terreno, aumenta la capacità di ritenzione idrica, la capacità di scambio cationico e la disponibilità degli elementi minerali. La presenza di sostanza organica e della microflora sono condizioni necessarie per i processi di umificazione nel suolo. Attualmente la gran parte dei terreni destinati all’olivicoltura presenta uno scarso contenuto in sostanza organica, inferiore all’1%, e tassi di mineralizzazione elevati anche a causa delle reiterate lavorazioni superficiali.
Irrigazione. Nonostante che l’olivo sia la coltura arborea da frutto più resistente alla carenza idrica, esso beneficia notevolmente dell’irrigazione. I vantaggi sono tanto maggiori quanto più arido è il clima e poco profondo o sabbioso il terreno. La maggiore diffusione degli impianti irrigui si ha, quindi, nelle regioni dell’Italia meridionale ed insulare ove il lungo periodo di aridità estiva limita notevolmente la produttività dell’oliveto.
Un’elevata disponibilità idrica nel suolo nel corso della stagione di crescita aumenta la produzione, la pezzatura, il rapporto polpa-nocciolo e il contenuto in olio delle olive espresso in percentuale di peso secco. La resa in olio al frantoio, espressa in percentuale di peso fresco, di oliveti irrigati può risultare inferiore a quella di oliveti non irrigati per problemi tecnologici di estrazione o per un maggiore grado di idratazione delle olive. Sebbene sia possibile produrre oli che ricadono nella categoria merceologica degli extra-vergini di oliva in assenza di irrigazione, l’irrigazione consente di migliorare e diversificare la qualità dell’olio. Il regime idrico non influisce sulla composizione acidica, sull’acidità libera e sul numero di perossidi dell’olio, ma la scarsa umidità nel suolo determina un aumento del contenuto di composti fenolici (ed orto-difenolici in particolare) e della stabilità rispetto all’ossidazione. Dal punto di vista organolettico, le sensazioni di amaro e di piccante dell’olio si attenuano all’aumentare della quantità di acqua somministrata. La disponibilità idrica nel suolo modifica anche la concentrazione di composti responsabili delle note di fruttato erbaceo, quali la trans-2-esenale, il trans-2-esen-1-olo e l’1-penten-3-olo.
Le fasi critiche per la carenza idrica sono la fioritura, l’allegagione, la fase iniziale di rapida crescita del frutto e il periodo di accumulo di olio. Nei climi dell’Italia centrale è raro che si verifichino condizioni di deficit idrico severo durante la fioritura e l’allegagione, mentre ciò avviene nelle regioni meridionali e insulari. Durante la fase iniziale di sviluppo del frutto un’adeguata disponibilità idrica serve ad attenuare gli effetti delle elevate temperature e dell’assenza di precipitazioni. L’irrigazione consente una rapida crescita ed inoliazione dell’oliva durante la fase finale di sviluppo del frutto, che di solito inizia a metà agosto e si protrae fino alla fine di ottobre.
Siccome l’acqua è scarsa nelle regioni olivicole italiane, l’impiego di questa risorsa deve essere ottimizzato erogandola con metodi localizzati (e.g. a goccia), che riducono le perdite di acqua per evaporazione, e secondo protocolli di irrigazione in deficit controllato, cioè mediante la somministrazione di volumi di acqua inferiori al fabbisogno giornaliero della pianta.
Raccolta. La raccolta può essere effettuata a mano direttamente dall’albero (brucatura), con attrezzi agevolatori, con macchine vibro-scuotitrici del tronco o scavallatrici del filare. La raccolta delle olive cadute per cascola naturale o attacchi parassitari, eseguita a mano o con macchine spazzatrici da terra, pregiudica quasi sempre l’ottenimento di oli extra-vergini di oliva in quanto i processi ossidativi che hanno luogo in frutti sovra-maturi o danneggiati peggiorano le caratteristiche sensoriali e salutistiche dell’olio. Scadimenti qualitativi significativi si hanno anche raccogliendo le olive cascolate su reti. In aree particolarmente disagiate (e.g. oliveti su terrazzamenti), ove non vi sono alternative alla raccolta su reti bisogna raccogliere le olive frequentemente e portarle in frantoio per la trasformazione entro 24 ore.
La brucatura assicura l’integrità dei frutti e non pone vincoli per l’epoca di raccolta, ma è il metodo di raccolta più costoso. Un’ottima alternativa alla brucatura è la raccolta con attrezzi agevolatori, che può anche raddoppiare la capacità oraria di raccolta, si adatta a qualsiasi forma di allevamento e sistemazione dell’oliveto e non richiede elevati investimenti di capitale. La raccolta meccanica delle olive con vibro-scuotitori del tronco è un metodo collaudato che consente di raccogliere elevate quantità di prodotto per unità di tempo. La resa di raccolta dipende dalla varietà, carico produttivo, dimensioni dell’albero, tipo di potatura, scalarità di maturazione e forza di ritenzione dei frutti. L’operazione di scuotitura è rapidissima, mentre la movimentazione dei teli e il recupero delle olive raccolte richiedono tempo; macchine vibro-scuotitrici dotate di telaio intercettatore consentono di migliorare notevolmente le prestazioni del cantiere di raccolta, ma richiedono olivi distanziati di almeno 4.5 m sulla fila per poter lavorare agevolmente. La raccolta con macchine scavallatrici del filare è il metodo più rapido. Richiede elevati investimenti iniziali di capitale ed oliveti ad altissima densità appositamente progettati con idonee varietà, ma consente di raccogliere tempestivamente ampie superfici.
La raccolta delle olive con vibro-scuotitori del tronco non altera la qualità dell’olio rispetto alla brucatura se le olive sono allo stesso stadio di maturazione. Variazioni nelle caratteristiche analitiche ed organolettiche degli oli possono essere causate dal diverso stadio di maturazione a cui vengono raccolte le olive per scuotitura meccanica o a mano, in quanto la raccolta meccanica di solito viene iniziata più tardi rispetto a quella manuale per avere frutti con minore forza di ritenzione sul ramo e quindi maggiore efficienza di raccolta. D’altro canto, la raccolta meccanica procede più velocemente e consente di raccogliere più tempestivamente della raccolta manuale. La raccolta meccanizzata con pettini pneumatici o elettrici può risultare in danni qualitativi, non tanto per le lesioni provocate sulle olive direttamente dai pettini quanto per lo schiacciamento dei frutti sulle reti di raccolta a causa del calpestio di operatori disattenti.